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Il Professore di Economia dell’Università di Dublino, Karl Whelan, ha pubblicato un interessante saggio sulla situazione economica attuale di uno dei paesi “virtuosi” dell’eurozona: La Finlandia.

Il quadro che ne viene fuori oltre che essere molto preoccupante per i finnici, lo è di conseguenza per tutto il resto del vecchio continente cui va costantemente il monito delle “riforme strutturali” da attuare quanto prima.

Il sud d’Europa rappresentato da Italia, Spagna, Portogallo e Grecia ha subito e continua a subire pressioni per ridefinire programmi di governo che, dove attuati, stanno producendo il risultato dell’impoverimento delle classi medie e basse della popolazione, oltre che crescita delle economie vicino allo zero.

Il Financial Times ha ricordato come i governi finlandesi siano stati tra i più fanatici ed i più severi nel rimproverare i paesi ad alto debito che non attuavano politiche di bilancio rigorose, Rammento bene la minaccia del Primo Ministro finnico che pretendeva il Partenone in cambio di una delle ricorrenti richieste di prestito da parte di Atene. Non ricordo che se sia stato richiesto il Colosseo all’Italia in qualche altra circostanza, ma nel delirio dell’onnipotenza monetaria non mi meraviglio sia stata fatta.

Sta di fatto che La Finlandia per il terzo anno consecutivo vede la contrazione della sua crescita e il tasso di disoccupazione salire dal 6,2% del marzo 2008 all’8,9% dell’ottobre 2014.

Il Financial Times ammette che “la ricetta da seguire per la crisi attuale non è chiara” come invece lo era durante la crisi finlandese post-sovietica dei primi anni ‘90.

Secondo Whelan le cause di questa situazione sono probabilmente due:

  • invecchiamento della popolazione legato al crollo dell’andamento demografico che sta facendo rapidamente invecchiare la popolazione;
  • deludente quantità di PIL reale prodotto da ciascun lavoratore, quel che gli economisti chiamano produttività del lavoro.

Esattamente lo stesso trend,  che viene sottaciuto, che ha imboccato la locomotiva d’Europa:

La Germania.

I burocrati della Troika richiamano la necessità delle riforme strutturali per porre rimedio al declino, più rapido di quel che si possa immaginare del Vecchio Continente. E naturalmente riforma delle riforme il sistema previdenziale cui evidentemente tutti gli Stati continuano a metter mano con i risultati miserrimi che abbiamo sotto gli occhi.

Ora, stante l’autorevolezza degli studi e dei mezzi di informazione che la hanno pubblicata, viene da chiedersi come sia possibile che non vengano prospettate vie di uscita alternative da quella strettamente finanziaria e di bilancio. Le riforme di politica economica non vengono messe sul tavolo della discussione lasciando chiaramente intendere come l’economia sia divenuta un surrogato della finanza e non quest’ultima il supporto della prima.

All’Italia tra le tante cose che, giustamente, vengono rimproverate e che sono tipiche del malcostume nostro, vi è quella della scarsa attrazione di capitali e investimenti produttivi dall’estero.

Ebbene anche qui alcuni dati, letti senza dar fiato ai soliti luoghi comuni, lasciano trasparire verità soffuse o addirittura nascoste.

L’Indagine Doing Business della Banca mondiale ha stilato una classifica delle nazioni con le maggiori facilitazioni nel business. Al primo posto Singapore. La Finlandia ottiene un lusinghiero nono posto complessivo, secondo nella zona Euro alla Danimarca, quarta assoluta, e quarto in Europa considerando il sesto norvegese e l’ottavo del Regno Unito. Viene da chiedersi del perché quindi di una disoccupazione crescente e degli scarsi investimenti industriali, interni e stranieri, che tanto vengono rimproverati ai PIGS.

La risposta è che evidentemente il Capitale ha delocalizzato totalmente l’industria nei paesi dove i diritti dei lavoratori, ed il costo ad essi legati, sono assolutamente dimenticati e la produzione di massa non prevede il diritto alla dignità di vita e delle aspettative decorose di essa, da parte di operai e masse lavoratrici. Di ecologia e tutela ambientale neanche a parlarne.

Le logiche di questa infinita ed inarrestabile caduta sociale, politica ed economica del vecchio continente restano a mio avviso terribilmente crudeli verso i popoli che anni fa si sono visti scaraventare attraverso informazioni al cloroformio in quello che sembrava il paradiso dell’unione politica dei popoli europei e che si sta rivelando la loro tomba con l’arricchimento infinito e irresponsabile di pochi scriteriati poteri che definire forti è eufemistico.

Ischia nel suo piccolo è pronta, oramai, a toccare con mano quali siano i disagi e l’impoverimento cui a breve andrà incontro definitivamente. Non bastasse la crisi turistica in cui versa da un decennio.

Imprenditori senza coscienza, facendo leva su inaccettabili e delinquenziali provvedimenti del governo etichettati sotto l’infamia del Jobs Act, e tanto elogiati nell’Europa che conta,  hanno iniziato in questi giorni a ridefinire i contratti con i dipendenti per irrobustire i propri conti correnti attraverso finte assunzioni a tempo indeterminato che altro non nascondono se non la vorace capacità di intascare benefici fiscali in danno di padri di famiglia messi definitivamente nell’angolo. Le riforme strutturali appunto.

La propaganda di regime ha iniziato a diffondere dei numeri.

76.000 aziende italiane avrebbero chiesto all’INPS il passaggio di contratti da tempo determinato a tempo indeterminato. Chissà se le stesse trombe daranno fiato alla notizia delle sospensioni dal lavoro, senza stipendio e senza indennità di disoccupazione, cui andranno incontro gli stessi lavoratori cui oggi viene imposta la modifica contrattuale apparentemente favorevole.

Se ne riparlerà a breve.

Sperando che il cloroformio nel frattempo non sia divenuto gas nervino.

jobsact-renzi

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