E’ da ieri che quasi tutte le testate giornalistiche italiane hanno iniziato a celebrare gli 80 anni che oggi festeggia Gianni Rivera.
Il Golden Boy.
Io non sono un giornalista e scrivo queste poche righe solo ed esclusivamente per l’affetto smisurato che nutro verso questo fuoriclasse del nostro calcio e questo Uomo del nostro sport.
Se ho amato il calcio e se sono milanista lo sono per lui, come probabilmente la metà dei tifosi del Milan della mia generazione o intorno alla mia. Insieme a Felice Gimondi per il ciclismo il mio unico e vero idolo sportivo è stato e rimarrà per sempre Gianni Rivera.
Avesse giocato nel Palermo sarei stato palermitano, nella Juventus juventino, nell’Inter arrivo a dire interista, nel Napoli napoletano facendo contento mio padre grande tifoso azzurro, morto presto con il rammarico di vedere questo moccioso in casa che non ne voleva sapere di abbracciare la sua stessa fede per il sol fatto che Rivera giocava nel Milan.
A ripercorrere la sua carriera lo stanno facendo in tanti e tutti sicuramente meglio di me.
Io posso solo dire che chi ha intrecciato, come me, la sua infanzia e la sua gioventù con al fianco questa figura smisurata sa che Gianni è stato un fenomeno divisivo come niente in Italia per 20 anni.
Chi tra i giornalisti ha tentato di smontarlo come Brera e chi lo ha eletto ad emblema dell’eleganza e della genialità nel calcio, e non solo nel calcio, come Gino Palumbo l’ineguagliabile napoletano direttore della Gazzetta dello Sport.
I suoi sei minuti contro il Brasile restano la vergogna del calcio italiano, la cui massonica dirigenza ne decise l’esclusione inventando la staffetta con Mazzola, il protetto interista. Ma sono anche la sua grande vittoria quando a Roma, al rientro dal Messico, i dirigenti della nazionale furono contestatissimi insieme, ingiustamente, al resto della squadra ed il duo Rivera Riva osannato all’inverosimile.
Resta mitico il gol del 4-3 contro Sepp Mayer nella sfida del secolo all’Azteca.
E mitica l’intervista a Pelè che in una intervista rivelò che per lui l’unico momento di paura di perdere la finale del 1970 con l’Italia fu quando vide Rivera in panchina. Perché se Rivera era in panchina, pensò il capitano brasiliano, in campo al suo posto ci doveva essere solo un marziano.
Primo italiano a vincere il pallone d’oro, il debutto in Serie A a nemmeno 16 anni contro l’Inter Ça va sans dire.
Ho avuto il piacere di vederlo due volte in campo a Napoli, da bambino in pratica, ed una volta ad Ischia in vacanza nel 1986 poco dopo che Berlusconi lo aveva silurato dalla dirigenza del Milan.
Anche il Napoli probabilmente sarebbe stata la sua squadra ideale. Adorato dal pubblico partenopeo, le due volte che lo vidi giocò maluccio ma due lampi di genio bastarono al pubblico azzurro per osannarne il nome per tutta la restante parte della gara. Da avversario nel 1974 in un Napoli Milan 1-2 e con la nazionale nel gennaio del 1973 contro la Turchia, 0-0.
Ma per me resta anche il Don Chisciotte che pagherà sulla sua pelle le contestazioni a Lo Bello ed alla classe arbitrale per i fatti di Cagliari nel 71/72 e Torino e Roma 72/73 che costarono due scudetti persi sempre per un punto dalla Juventus.
La polemica contro il catenaccio quale sistema di gioco del calcio italiano dopo i Mondiali del 1966, in aperto dissidio con Brera che con le sue teorie, vicine al razzismo, ne sosteneva le uniche ragione in virtù, sosteneva, dell’inferiorità fisica degli italiani.
La poetica follia di volersi comprare il Milan, pur di non andare via, quando Buticchi paventò la sua cessione al Torino in cambio di Claudio Sala, con il conseguente ritiro per qualche mese dall’attività agonistica ed il rientro, per me al limite della commozione, nell’ottobre del 1975 a San Siro contro l’Athlone Town in Coppa UEFA.
Oggi lo rivedo con i capelli bianchi, non ne condivido alcune dichiarazioni legate più all’età che alla convinzione, e continuo ad averlo tra i miei affetti più cari, con il tavolo del salotto che non ha cristallerie per far posto al suo monumentale tomo sulla sua vita raccontata in fotografie e che è il biglietto da visita per chiunque arrivi in casa e viene messo a conoscenza che l’argomento Gianni Rivera non è emendabile.
Nel mio piccolo mi sento di dirgli Grazie Gianni e tanti auguri, la mia vita senza di te sarebbe stata molto diversa e molto più grigia.